SOS-KIWI analizza le relazioni tra moria del kiwi e fattori ambientali scatenanti

In un precedente articolo (link) abbiamo illustrato il drastico calo delle superfici coltivate ad actinidia in Piemonte e a livello nazionale a causa della moria del kiwi. Gli studi e le ricerche scientifiche realizzate fino ad oggi evidenziano sempre più la centralità dei cambiamenti climatici nell’aumentare la suscettibilità delle piante. In particolare, l’attenzione è rivolta all’alternanza di periodi siccitosi intervallati da abbondanti piogge con sommersione delle radici, come pure le alte temperature estive che incidono negativamente sul processo di evapotraspirazione e termoregolazione della chioma. Essendo una sindrome multifattoriale, le cause che portano allo sviluppo dei sintomi sono molteplici, coinvolgendo ambiente, suolo, varietà e stato fisiologico della pianta, microrganismi del suolo e pratiche agronomiche, rendendo così molto difficile le azioni di contrasto e di controllo della moria.

Impatto dei cambiamenti climatici sul suolo

A fronte delle mutate condizioni climatiche e dei numerosi fattori che influenzano lo svilupparsi della moria, la pianta di actinidia va incontro a un forte deperimento fisiologico. Un deperimento reso ancor più evidente dall’insediamento in particolare di funghi patogeni che prosperano in terreni umidi e poco aerati e che minano le radici, compromettendone definitivamente la funzionalità. Questi microrganismi, pur essendo presenti già da tempo all’interno della comunità biotica del terreno, trovano condizioni ideali per proliferare in grandi quantità, entrando in competizione con i microrganismi benefici del suolo.

Accanto a questo, altre grosse difficoltà indotte dal cambiamento climatico sono la compattazione e l’impermeabilizzazione del suolo, che riducono l’aerazione delle radici e aumentano il rischio di ristagni idrici, condizione quest’ultima che favorisce anche la proliferazione sulle radici di funghi e batteri dannosi.

Strategie di mitigazione e adattamento  

Recentemente sono state testate e proposte alcune strategie di mitigazione e adattamento delle piante di actinidia basate su pratiche agronomiche per prevenire lo sviluppo dei sintomi, riducendo al minimo gli stress ambientali. Ad esempio, l’implementazione di drenaggi efficaci per prevenire ristagni idrici, il miglioramento della struttura del suolo e la sua biodiversità, l’impiego di reti ombreggianti al fine di contenere temperature eccessive, l’utilizzo di pacciamatura per mantenere il suolo più fresco e con la corretta percentuale di umidità.

L’approccio di SOS-KIWI

La rotazione delle colture, l’utilizzo di portinnesti più resistenti alle condizioni di stress idrici, l’introduzione di consorzi micorrizici e di batteri benefici sono alcuni degli aspetti della ricerca del progetto SOS-KIWI, al fine di verificare quali sono le condizioni di coltivazione in grado di aumentare la tolleranza delle piante ai fattori climatici e agli attacchi dei patogeni.

Presso il centro ricerche della Fondazione Agrion a Manta, oltre alla realizzazione del campo sperimentale per la valutazione dei consorzi microbici in fase di studio, è altresì in corso lo screening sui nuovi portinnesti disponibili. I materiali in prova sono molteplici e come è noto questo tipo di lavoro necessita di più anni di osservazione per acquisire conoscenze sulla tolleranza/resistenza dei portinnesti alla moria, la costanza produttiva, le caratteristiche qualitative dei frutti e loro conservabilità. Il progressivo trasferimento dei risultati sarà realizzato mediante l’organizzazione di visite guidate in campo aperte sia ai tecnici e produttori per mostrare loro i risultati del confronto sperimentale pluriennale.

Torna utile ricordare che l’approccio del progetto per migliorare la gestione della sindrome “moria del kiwi” tiene conto dell’evoluzione delle condizioni climatiche, integrando conoscenze fitopatologiche e tecniche di gestione dell’acqua e del suolo, volendo garantire la prosecuzione e il rilancio della coltivazione di una specie frutticola che dagli anni ’70 ad oggi ha rappresentato un volano per lo sviluppo delle aree agricole, garantendo un’adeguata redditività alle aziende agricole produttrici e all’intera filiera.

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